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Per farvi conoscere gli alimenti e le loro caratteristiche ci stiamo facendo un mazzo così…

Ruben, un ristorante per gente speciale.

Screenshot 2014-12-17 23.15.56C’è un ristorante a Milano dove ogni sera cenano oltre 200 persone: famiglie con bambini,  uomini divorziati, coppie che lavorano,  cinquantenni italiani in libera uscita dal lavoro…

Detto così sembra uno  dei tanti ritrovi presentati nelle rubriche dedicate alla vita mondana in città, ma Ruben è tutta un’ altra cosa. Ruben dà da mangiare a tutte quelle persone che rappresentano il volto nuovo della povertà, e che magari fino a poco tempo fa erano soliti frequentare proprio quei locali che fanno pulsare il cuore di quella che un tempo veniva definita “la Milano da bere”.

Ora il cuore pulsa per altri motivi: la paura di non aver niente da dare da mangiare ai propri figli, l’ angoscia di trovarsi in una situazione che non si sa controllare,  il panico scatenato da  una condizione economica che non rientrava nelle prospettiva del proprio futuro e che si fa fatica ad accettare.

Perché Ruben,il ristorante creato dalla fondazione Ernesto Pellegrini,  con le sue cene a un euro si rivolge a tutta quella nuova fascia di povertà creta dalla lunga crisi in cui tutti stiamo passando: scordiamoci gli homeless poetici ed eroici della Londra di Dickens o della Milano  dei Tecoppa, i tossicodipendenti degli anni settanta e ottanta, gli immigrati sui barconi.

Sui tavoli di Ruben la povertà ha il volto stanco e sconfitto del vicino di casa che ha perso il lavoro e che i giornali etichettano come esodato, come se questa parola dal suono bizzaro da entomologo facesse scomparire la concreta difficoltà di mettere insieme il pranzo con la cena.

E il disagio ha il volto del padre divorziato che, quando gli va bene,  magari è tornato a dormire dai genitori nella cameretta di quando era ragazzo, e che quando ha uno stipendio lo deve utilizzare per pagare gli alimenti ai figli.

Come ci ha detto il responsabile della fondazione Ernesto Pellegrini, Davide Lo Castro: “sono persone che non hanno dimestichezza con le associazioni, che hanno vergogna a chiedere aiuto e comunque non sanno come farlo. Per questo abbiamo creato una rete che comprende le tradizionali associazioni cattoliche, le nuove figure del volontariato e dell’ assistenza e ora anche i servizi sociali della città. Più allarghiamo la rete, più persone possiamo sperare di intercettare e aiutare”.

Persone che non sempre hanno la forza di ammettere il loro effettivo bisogno di essere aiutati, proprio come quel Ruben che ha dato il nome al ristorante, la cui vita è narratra in poche ma sentite righe scritte proprio da Ernesto Pellegrini:” Ruben aveva lavorato per tre generazioni nella mia famiglia, poi in un momento difficile si è ritrovato senza casa, senza lavoro e io, che non ho avuto modo di aiutarlo, ho sempre ricordato il suo ricordo nel mio cuore. Un uomo buono, un gran lavoratore  che non è riuscito ad affrontare un cambiamento fore duro. Oggi è nel suo ricordo che attraverso il ristorante voglio aiutare chi si trova in un momento di difficoltà e di disagio, e che nel nome di Ruben trova non solo cibo, ma anche aiuto, ascolto e una motivazione a riprendere in mano la propria esistenza, sapendo di poter contare su qualcuno. E’ il mio modo di restitutire un poco di quello che la vita mi ha dato”.

Per saperne di più su Ruben, sul ristorante e sulla fondazione Pellegrini, seguite questo link.

E settimana prossima vi racconteremo un’altra storia di Natale, perché noi di Odio il Brodo siamo sempre più convinti che parlare di cibo non sgnifichi soltanto descivere ricette e a fotografare piatti, ma raccontare le storie che si nascondono dietro un piatto, un ristorante o, come faremo nel prossimo post, un corso di cucina davvero particolare. Perché settimana prossima è Natale a Milano come in tutto il mondo…

 

 

 

Il mondo in un piatto di lenticchie

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Dice la Bibbia che Esaù vendette la primogenitura  per un piatto di lenticchie, e ogni volta che da piccolo sentivo questa storia pensavo che probabilmente doveva essere esaù…rito.

Ma al di là del gusto che mi danno da sempre i giochi di parole, anch’ io apprezzo, e molto, il sapore di questi legumi che una stupida tradizione vuole relegate soltanto a capodanno perché dovrebbero portare soldi. A parte il fatto che con tutte le lenticchie che ho mangiato a quest’ ora avrei dovuto essere in grado di lanciare un’ opa in solitaria su Microsoft e Facebook insieme, acquistando twitter con il resto…

Quando me ne sono reso conto, ho iniziato a mangiarle quando meglio mi pareva e ad arrangiarle in più modi. Questo è l’ultimo: trito di scalogno visto che Carlo Cracco definisce figo chi lo usa, ma a dirla tutta ora fa lo stesso anche con le aptatine rustiche, olio e un bel pacchetto di lenticchie di quelle che non necessitano l’ammollatura perché non avevo tempo.

Poi, qualche mestolata di acqua calda e un dado star vegetale, per insaporire il tutto un profumatissimo mix di spezie che solitamente uso per il pollo tandoori indiano, una spolveratina di zenzero fresco grattugiato che uso per i piatti cinesi, un trito di rosmarino di Montevecchia (che mi era avanzato dalle lasagne così ho provato) e vqueste lenticchie da giro del mondo le ho lasciate a cuocere fino a quando si sono ammorbidite.

Una volta in tavola, un giro d’olio e un rametto di rosmarino per guarnire, e avrei venduto la primogenitura anch’io… O almeno noleggiata.

Lasagne con i funghi dall’ accento giusto.

FullSizeRender (1)Non amo molto gli champignon, un po’ perché da piccolo credevo che, così bianchi e sciapi, fossero i fantasmi dei funghi porcini di piccola taglia che la nonna faceva friggere con sommo gusto di tutti noi. E un po’ perché nelle pizzerie vengono sempre chiamati con l’accento sbagliato: chàmpignon, sorte che condividono con gli altrettanto maltrattati profìterol, ma che nemmeno lontanamente raggiungono il livello di  obbrobrio sintattico che tocca in sorte ai wurstel (un giorno mi riprometto di raccogliere i mille modi in cui viene storpiata la grafia di questi cosi che non ho ancora deciso se chiamare insaccati). Però…

Però una domenica mezzogiorno, con poco in dispensa e ancor meno voglia di uscire per andare in uno dei supermercati che ormai sono aperti non solo nelle settimane dell’ avvento (roba che da piccolo invece era quasi una festa: andare a far la spesa di domenica voleva dire che stava arrivando Natale, ora invece sono aperti sempre anche se è costantemente quaresima), ritrovanomi con un pacco di questi funghi albini nel frigo e allora via.

Aglio, olio (ne era rimasto ancora dall’evento #dedicatoame dei F.lli Carli) champignon tagliati a lamelle fungiformi e… l’accento deciso, proprio sulla o finale, glie l’ho dato grattugiando su questa preparazione un dado Star ai porcini, e il profumo si sentiva già in cottura.

Intanto sul pentolino si scioglieva il burro, amalgamandosi poi con la farina che anelava a farsi sciogliere nel latte per formare una besciamella che, su suggerimento di mia figlia, ho aromatizzato con un trito di rosmarino.

La giovane sperimentatrice aveva ragione: una volta mescolata agli champignon sugli strati di lasagne, questa besciamella al rosmarino aveva proprio il suo perché.

Lo abbiamo scoperto tutti con piacere dopo venti minuti circa di forno, quando il parmigiano che aveva abbondantemente velato l’ultimo strato di lasagne si era fatto dorato e croccante.

Golosaria 2014: un diluvio di sapori.

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A Golosaria avrei dovuto andarci sabato 15, ma come avrete potuto vedere dai giornali il meteo non mi è stato favorevole: non che in tv abbiano mostrato lo scoppio del tombino sotto casa mia, ma lo stato della stazione Porta Garibaldi non era poi così lontano…

Domenica, quindi, dedicata a riparare i danni del maltempo e a prevenirne di nuovi sgorgando tombini come se non ci fosse un domani e finalmente oggi son riuscito a regalarmi un viaggio fra i sapori d’Italia nei padiglioni del Superstudio di Via Tortona.

Certo, non c’era il sole che mi aveva accompagnato alla presentazione di Natural Recall  lo scorso maggio proprio lì sopra, al Superorto più (A proposito, sabato 22 inaugura la prima mostra del progetto, alla serra dei giardini di Venezia: in cartellone fino al 28 dicembre, regalatevi un viaggio che ne vale la pena) ma ho fatto alcune scoperte davvero interessanti.

La prima ha il fresco profumo di essenzialMenta di Pancalieri, che ci ha accorto regalandoci bustine di zucchero alla menta e una notizia altrettanto fresca: febbraio sarà per loro il mese dei foodblogger, in cui selezioneranno una quindicina di blog per ospitarli nella loro azienda agricola e inviare loro i prodotti a base di quella che viene definita “la menta più buona del mondo” e che fa parte del paniere dei prodotti tipici della provincia di Torino, in attesa di ottenere il marchio europeo di denominazione di origine protetta.

Dal profumo della menta a quello del basilico: immersa fra i profumi del Pesto Rossi (bellissima la loro iniziativa benefica di vendere online la maglietta “non c’è fango che tenga”) abbiamo trovato una vecchia conoscenza, Doriana de LA SIGNORA DEI FORNELLI, un blog che seguivo già da un po’ e chi mi ha fatto piacere riscoprire, come piacevole è sempre l’aroma di un pesto fatto come basilico comanda.

Più che una scoperta, invee, è stata una rivelazione l’assaggio del caviale prodotto dall’ azienda agricola Pisani Dossi, un delicato e aromatico Osetra e un vigoroso Siberiano prodotti senza conservanti, quello che gli intenditori definiscono “malossol”, ma con una grandissima attenzione alla scelta delle uova e alla loro preparazione prima della salagione.

Dal nobile storione alla più popolare ma non per questo meno gustosa acciuga, che si trasforma in forte e decisa poesia nei vasetti della Confraternita degli Acciugai di valle Maira, il cui simpaticissimo presidente Riccardo Abello ci ha suggerito una ricetta rapidissima da copiare senza dubbio: le caramelle di acciuga. Lui a dire il vero l’ha definita anche una “bagna caoda da passeggio”, e per prepararla basta mettere un’ acciuga su un rettangolino di pasta sfoglia, adagiarci sopra aglio radicchio o un’ altra verdura a piacere, chiudere arrotolano i bordi come a confezionare una vera propria caramella e infornare a 200° per una diecina di minuti.

Di sfizio in sfizio, io e le mie due accompagnatrici (perché andare in fiera da solo se puoi andarci in compagnia di due signore belle e intelligenti? grazie Giulia e Laura) ci siamo goduti i taralli di AGRICOLA DEL SOLE e gli straordinari snack prodotti con le farine del grano dei loro campi. Vi garantisco, una vera delizia.

Dalle mie parti però  si dice che “la buca l’è mai straca se non la sent de vaca” (la bocca non è stanca se non ha il sapore della mucca, versione ruspante del francese “il n’y a pas de repas sans fromage”) e così ho scoperto i formaggi del Caseificio Carioni, attirato dalla nuova linea senza lattosio che comprende tutti i prodotti di “mamma mucca” come li chiamano loro: non ho provato il bacio, ma la crescenza era davvero squisita.

La bocca però non era ancora stanca, così mentre nello spazio dibattiti si presentava il padiglione zero dell’ Expo2015 e il piatto preparato per la manifestazione dell’anno con le eccellenza del territorio lombardo dalla scuola di Cucina IFSE, dopo gli assaggi è arrivato il momento di mangiare nello spazio dedicato allo street food.

Così nella mia piccola spedizione c’è chi ha optato per un kebab d’autore con tanto di Castelmagno, chi ha preferito la focaccia di Recco di Manuelina (che pare stia arrivando finalmente a Milano) e chi ha provato una cosa davvero divertente: gli Sciatt à  porter.
Per chi non li conoscesse, gli Sciatt (cioè i rospi, perché nella forma ricordano gli anfibi che troppe aspiranti principesse hanno inutilmente baciato ) sono un piatto tipico valtellinese costituito da quadratini di formaggio casera immersi in una pastella di grano saraceno e fritti, serviti in questa versione street food in un cono di carta da fritti.

Lì vicino, i risotti di un’azienda che mi ha molto interessato fin dal nome SORRISO IN CUCINA: un sito, una pagina facebook e una famiglia che utilizza una grande varietà di risotti, zuppe, farine per polenta e pureè con ingredienti già dosati e che possono essere serviti così o, come è successo a Golosaria, servire da base per personalizzazioni con altri prodotti.

Il mio lato brianzolo è poi stato incuriosito dal furgoncino Street food di Primo Sapore, che porta in giro i prodotti della tradizione brianzola, dalla mortadella di fegato al cotechino “vaniglia” e che qui presentava anche i prodotti del prosciuttificio Marco d’Oggiono.

Ancora Brianza, ma monzese, allo stand della patata bianca di Oreno, famosa nel territorio per la sagra biennale sempre frequentatissimo.

Per il dessert ci siamo rivolti a I DOLCI NAMURA, di via castelvetro a Milano premiato dal Golosario2014. E l’assaggio del suo panettone vegano, oltre a farmi venire in mente ovviamente la nostra Marzia di LA TAVERNA DEGLI ARNA, mi ha trovato d’accordo con questa scelta.

All’ uscita, per veniore ioncontro alle esigenze regalistiche di un’ amica, ho fatto un’ ultima, interessantissima scoperta: le deliziose mostarde di Fredo, una giovane azienda nata in Svizzera e che con una scelta in totale controtendenza (come tutte le scelte che personalmente mi piacciono di più) dal prossimo gennaio sarà a tutti gli efetti italiana.

Classica, piccante, esotica, di cedro, di albicocche, di ananas e papaya, di ciliegie di fichi … una miriade di colori e di translucenze da salivazione immediata, anche per merito della preparazione ottenuta esclusivamente da frutta fresca, non precedentemente messa in salamoia come accade invece per la produziopne industriale.

Insomma, nonostante l’acqua un’ esperienza sicuramente da ripetere questa Golosaria , e che lascia preludere a un Expo2015 in cui gli assaggi sicuramente si moltiplicheranno. Sperando ovviamente che il tempo sia migliore… Anche per consentire che i lavori finiscano per tempo, cosa che personalmente mi preoccupa non poco.

Arrosto di scamone in salsa di noci e fisarmonica.

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Come sapete cerco quando posso  di raccontare, più che le ricette, le storie che stanno dietro i piatti che preparo per gli amici. E dietro questo arrosto di storie ce ne sono almeno un paio, ed entrambe più o meno nella stessa location.

La prima ve l’avevo già in parte raccontata, ed è l’esperienza vissuta durante l’evento #dedicatome dei F.lli Carli : dai loro regali ho  preso tutti gli ingredienti, a parte lo scamone ovviamente, della ricetta che ho cucinato per degli amici davvero speciali, che quest’estate ci hanno messo a disposizione la loro casa di Capo Berta, a cinque minuti  dal museo dell’olio.

Una casa che sapeva di Liguria, ma anche di Istria e di Sudafrica: ne hanno fatta di strada i genitori di Marina, e in tutti questi giri per il mondo suo padre Nino ha sempre portato con sì la sua fisarmonica che suona sempre quando si trova in compagnia.

E’ una fisarmonica che apparteneva a suo padre, e che quindi ha più di cent’anni: mi piace pensare che abbia più o meno la stessa età dell’azienda di Imperia che ci ha ospitati a Settembre, e che i loro destini dopo essersi sfiorati sulla riviera di ponente si siano alla fine incrociati su questo post.

Così quando lo ho  invitato a casa nostra per il compleanno di Riccardo,ho massaggiato un bel pezzo di scamone, circa un chilo, con la profumatissima salsa di noci dei F.lli Carli, quella con cui di solito si condiscono i pansotti. Ho lasciato al carne a riposare per un paio d’ore, giusto il tempo di preparare il resto, poi l’ho fatta rosolare ben bene in un fondo di olio e burro, sfumando con il Marsala Carli, che presto sarà oggetto di un’altro racconto.

Dopo questo trattamento iniziale, la mia fida pentola di ghisa è finita in forno per un’oretta abbondante, e al momento di servire ho affettato la carne e ho fatto ridurre il fondo per irrorare ogni singola fetta del sapore delle noci, dell’olio, del marsala  e della nostalgia che da sempre le note della fisarmonica si portano dietro. Ma anche la nostalgia può avere un ottimo sapore.

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Un risotto con i funghi da Star

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Passato Halloween, ogni food blogger che si rispetti inizia  pensare al Natale.

Noi non sappiamo se siamo rispettabili o meno, propendiamo per il meno, ma abbiamo preso spunto dall’ iniziativa #ricettedastar su Instagram per proporre su MeglioStar una nostra prima proposta per le festività in arrivo (lo so, ho già visto i centri commerciali iniziare a mettere le lucine dappertutto… non resterà che accenderle, ma succederà presto me lo sento).

L’idea è semplicissima, ma l’arrivo in tavola vi garantisco che fa il suo bell’effetto.

Preparate un brodo col dado vegetale Star, o con quello ai porcini, e utilizzatelo per preparare un risotto allo zafferano secondo la ricetta tradizionale. non siate parchi con lo zafferano: è caro, lo sappiamo, ma per colorarlo bene a volte ci vogliono due bustine, e non è che mangiate due bustine di zafferano tutti i giorni…

Mentre il risotto cuoce preparate i funghi trifolati (oppure trafelati, se siete di fretta, come diceva l’immortale Marcello Marchesi), insaporendoli con il fondente Star aglio.

Mantecate il risotto con il burro e una bella dadolata di formaggio Branzi, poi mettetelo nella forma a stella e ricopritelo con i funghi.

E state tranquilli che anche questo Natale passerà: mancano meno di due mesi, in fondo….  😉

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I fiori di zucca colpiscono ancora…

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Altra ricetta veloce veloce, con il mio ingrediente preferito dell’estate: i fiori di zucca.

Questa volta li ho riempiti di ricotta mescolata con una generosa spruzzata di curry, poi invece di metterle in una normale pastella li ho impanati, proprio come si fa con una cotoletta, e poi li ho fritti.

Preparati in pochissimo tempo, sono finiti in un tempo ancora minore.

 

Halloween

Jack O' Lantern

I nomi italiani di Halloween:                                     altro che festa importata

Diciamolo una volta per tutte: le polemiche su Halloween come festa che non appartiene alle nostre radici ha lo stesso sapore stantio dell’ espressione “americanata” o dell’ equivalente “arlecchinata” per definire una cosa che non sia banalmente e penosamente grigia. 

Alla ricerca di argomenti per tacitare i presunti paladini della tradizione ci siamo imbattuti in Nicholas Rogers, uno storico che annovera fra le origini di Halloween di Halloween addirittura la festa dell’ antica dea romama Pomona – che sovrintendeva ai frutti e ai semi – o la  Parentalia dedicata al culto dei defunti.

Arrivando a  tempi, relativamente, più recenti si incontra Samhain, la festa celtica di fine dell’estate e inizio dell’ anno nuovo, che veniva  celebrata (guarda caso) il primo novembre. 

Solo molto più tardi, nell’ anno 840, papa Gregorio IV stabilì in quella data la festa di Ognissanti per sovrapporla a quella più antica.

E arriviamo alle zucche:  in Toscana fino a pochi decenni fa si giocava alla morte secca: a una zucca svuotata, si facevano  occhi, naso e bocca, poi le si metteva dentro una candela accesa e la si vestiva come uno spaventapasseri e , con una scusa, si mandavano i bambini fuori a prendere qualcosa per farli spaventare da quel mostro innocuo.

Anche nel Lazio c’era un’ usanza simile, e la zucca veniva chiamata La Morte, e lo stessi si faceva anche in Lombardia e in Liguria: queste luci a Parma venivano chiamati Lümera. 

In Calabria alcuni paesi hanno conservato addirittura la tradizione del Coccalu di muortu“, cioè teschio; i bambini scavano la solita zucca e girano per le case chiedendo . un vero: “Mi lu pagati lu coccalu?” ( “Me lo pagate il teschio?”) dove è facile trovare analogie col trick or treat statunitense. 

In Sardegna la nostra zucca ha tanti nomi, a testimoniare la diffusione della tradizione:  Is Animeddas, Su Candeleri, Su mortu mortu, Sas Animas, Su Peti Cocone, Su Prugadoriu o Is Panixeddas… e i bambini  bussano alle porte cercando noci e dolci.

Insomma, la prossima volta che qualcuno vi dice che Halloween non è una festa nostra, sapete che cosa rispondergli… 😉

Noce

 

Noce

• Diffusione: è stata introdotta in Europa in tempi antichissimi, ma è originaria dell’ Himalaya
• Coltivazione: teme gli eccessi climatici ed è sensibile ai ristagni di acqua.
• In cucina: utilizzata per macedonie, dolci, salse si accompagna con gusto a formaggi dal sapore deciso
• Proprietà terapeutiche: antianemiche, drenanti, energetiche, lassative, nutrienti, rimineralizzanti, vermifughe. R, aiutano a rinforzare le pareti delle arterie  e la vitamina E combatte i radicali liberi
• Curiosità: per preparare il nocino, tipico liquore contadino, le noci vanno raccolte ancora col mallo intatto nella notte di san Giovanni, da una donna esperta nella preparazione che si arrampica scalza sull’albero.
• Proverbio: “‘Na nuci ‘ntu sacco nun scuci (Calabria: una sola noce nel sacco non fa rumore)

 

Uva passa o sultanina

Uva passa

• Diffusione: l’uva passa è prodotta a partire dall’uva sultanina,una varietà di vite europea usata prevalentemente per produrre uva essiccata. E’ apirena (ossia priva di semi) e ricca di zuccheri. Di origine greca, turca e iraniana è oggi largamente coltivata in Australia, Turchia e negli Stati Uniti.
• Coltivazione:La vite è una pianta dalla grande adattabilità, cresce bene anche in climi secchi, anzi una piovosità troppo elevata può danneggiarne il raccolto.
• In cucina: L’uva passa è spesso impiegata nella preparazione di dolci; infatti la si trova spesso nei biscotti, nelle ciambelle, nei ripieni (strudel), nelle frittelle, e anche nel famosissimo Panettone.
• Proprietà terapeutiche: l’uvetta possiede antiossidanti in grado di combattere alcuni tipi di batteri responsabili di carie dentale ed infezioni orali. Aiuta inoltre a controllare i livelli di glucosio nel sangue e a prevenire patologie cardiache e il diabete.
• Curiosità: Negli Stati Uniti l’uva sultanina è conosciuta anche con il nome di Thompson Seedless, dal nome di William Thompson, che per primo introdusse la coltivazione in California.
• Citazione: (…) a Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie (…)Franco Battiato