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Partigiana di melanzane e peperoni: la parmigiana di chi resiste.

Screenshot 2014-04-24 21.15.10“Non c’è libertà che non contempli quella dei sensi e le condizioni del godimento. Non v’è alcun piacere, senza libertà.”

Questa frase è presa dal libro CUOCHE RIBELLI dove si parla di figure femminili in cucina che non sono le solite mamme e nonne, ma donne che hanno fatto una “cucina impudica” attraversando il novecento con le loro personalità decise: una cocotte parigina, una militante anarchica della Colonna Durruti, un’allieva della scuola d’arte tedesca e membro di una cellula spartachista.

Nel suo piccolo, la nostra Partigiana di melanzane resiste  ai luoghi comuni per cui la cucina deve essere una cosa o dolce e buona che ricorda la mamma e i sapori dell’infanzia, o un’ opera d’arte da commentare con la stessa sussiegosa incomprensione che si ha di fronte a un’ opera d’arte contemporanea, o una riproposizione fedele dei piatti di una tradizione che ormai non esiste più.

Così per celebrare la festa della liberazione dai luoghi comuni abbiamo dato alla solita parmigiana un twist più deciso. Le melanzane sono state fatte saltare con l’aglio, che tiene lontani mostri e vampiri , e non fritte perché per resistere bisogna cercare di essere più leggeri.

Il pomodoro concassé è stato saltato col peperoncino, perché un po’ di piccante aiuta a non annegare tutto in una indistinta passata .

Al posto della fresca mozzarella il gusto “montagnino” del taleggio e invece del basilico il profumo intenso dell’ erba cipollina.

Il tutto, dentro una fetta di peperone svuotato e scottato (ma non troppo perché per motivi ideologici non si può certo ammorbidire eccessivamente 😉  ) prima di un rapido passaggio in forno.

Magari non piacerà a tutti, ma la resistenza è servita anche a far capire che quello che era piaciuto a tutti per vent’anni non era poi così buono. Sicuramente però non lascerà indifferenti, e se un piatto sicuramente non basta a scuotere le coscienze, sicuramente scuoterà il palato.

Per rifare la solita parmigiana, poi, saremo in tempo tutto l’anno. Oggi si resiste.

 

 

Polenta concia… per le feste.

Quando le nostre radici arrivano dritte dritte dal Nuovo Mondo.

Tutto è nato dalla collaborazione con Mauri, e dai formaggi che ci ha spedito, ma l’idea di dedicare una delle nostre infografiche alla polenta ci girava per la testa già da un po’.
Più nell’anima brianzola di Odio il Brodo, a dire la verità, che la parte toscana non è molto avvezza all’oro giallo.

Che dalle mie parti, invece, veniva servita “cunscia” cioè acconciata o condita come nella ricetta che riportiamo oggi, in molte occasioni speciali. Negli altri giorni, per molto tempo, la polenta ha costituito  invece il pane quotidiano per intere generazioni di contadini che, apprezzandone la grandezza e la possibilità di uso quotidiano, lo chiamavano “Furmenton”, cioè frumentone.

E con questo frumento gigante si apre un discorso che noi di Odio il Brodo facciamo spesso tra noi , e che oggi vogliamo dividere con i nostri lettori: il discorso sulle culture autoctone. Se i contadini del dopo Cristoforo Colombo si fossero rifiutati di coltivare fagioli, mais e patate, probabilmente l’Europa sarebbe stata sterminata dalla fame in più occasioni. Ma nemmeno l’Asia sarebbe stata meglio: pare infatti che il boom demografico cinese fra il cinquecento e il seicento sia stato causato dalla coltivazione di questa pianta, che ha reso produttive le aree del delta dello Yang Tse. Facile da coltivare e altamente produttivo (13 quintali per ettaro invece dei 4 del frumento, sempre riferendosi alla produzione dell’epoca) il mais fu subito adottato anche dall’Africa.

Tornando alla nostra ricetta, pare che sia scivolata nel cuore della brianza dalle montagne Valtellinesi e da quelle confinanti della valle Brembana, dove la farina di mais veniva mischiata a quella di grano saraceno nella famosissima polenta taragna, condita con i formaggi tipici della zona (Branzi, Formai de Mut e Taleggio,,, anzi, Bontàleggio per far felice lo sponsor… ;-).

In questa variante ci abbiamo inserito anche il gorgonzola, un po’ perché ci piace, un po’ perché scendendo dalle valli verso la pianura padana, la polenta ha pian piano inglobato anche quello.

Come nei cuori che abbiamo fotografato per la ricetta “Due cuori e un gorgonzola”.